lunedì 18 maggio 2015

Le lacune degli sport da combattimento nell'autodifesa

Introduzione

Gli sport di combattimento sono oggi l’aspetto più diffuso di arte marziale, e quello di più successo commerciale. E’ possibile trovare scuole di judo, kickboxing, brazilian ju jitsu anche nelle città più piccole. Spesso sono anche suggerite a persone interessate all’autodifesa per costruire una base di partenza.

Anche se avere esperienza in un determinato sport di combattimento porta indubbi vantaggi rispetto a qualcuno completamente digiuno di arti marziali a livello di autodifesa, è importante però notare che ci sono lacune fondamentali in tali sport che sono tuttavia molto importanti in un corso di autodifesa.

Andremo ora a studiare con calma quali sono queste lacune, e ci soffermeremo su ogni punto. Lo scopo di questo articolo è quello di inserire un pò di realismo dietro alla patina di sicurezza che uno sport di combattimento può dare.

Arena

In uno sport di combattimento, l’arena è costante e invariabile. Questo porta un vantaggio non indifferente dal punto di vista dell’allenamento in quello sport, in quanto permette di focalizzarci sul nostro avversario più che sul contesto.

Ci sono diversi motivi per cui però questo tipo di training può portare svantaggi in un contesto reale di autodifesa. In una situazione del genere, non siamo in controllo dell’ambiente in cui ci troviamo, per due ragioni principali:

  1. Non controlliamo l’ambiente (forma, spazio, ostacoli).
  2. Non controlliamo le persone che ci sono attorno a noi.

Il primo punto sta ad indicare che la forma del locale, e lo spazio per muoverci che ne consegue, può variare anche di molto. In sport di combattimento è possibile mantenere le distanze con facilità a causa della mancanza di ostacoli, ma in un ambiente reale questo non è sempre possibile. Si può finire in una situazione in cui si deve combattere contro un muro, o in uno spazio molto ristretto.

Questi cambi di ambiente cambiano molto anche il tipo di combattimento che può essere utilizzato. Se un boxer si trova in un contesto molto piccolo, può trovarsi in difficoltà in quanto è facile che si finisca per andare corpo a corpo, e quindi saper dare un pugno diventa molto meno importante

Il secondo punto sta ad indicare invece che, mentre in un combattimento sul ring siamo sicuri che non ci saranno interventi esterni, in un contesto reale questo non è scontato. Se ci sono persone attorno a noi, la possibilità che qualcuna di loro intervenga nel combattimento già iniziato non è remota.

Avversari

Negli sport di combattimento si combatte sempre con un avversario solo, solitamente della stessa categoria di peso.

In un contesto reale, nè l’uguaglianza di peso, nè la quantità di avversari è scontata. Si può finire per combattere contro qualcuno molto più pesante di noi, o magari due o più avversari.

In scontri reali è difficile che un attaccante da solo attacchi qualcuno che non sa di saper sopraffare in qualche modo (a causa della stazza), o che attacchi senza il supporto di alcuni compagni. Una situazione del genere è in effetti piuttosto comune. I rari casi in cui ci siano attacchi singoli avviene in situazioni in cui l’avversario è ubriaco, o disperato.

Arbitraggio

Negli sport di combattimento è presente un arbitro che controlla il regolare svolgimento del combattimento. In caso di colpi proibiti, il combattimento è interrotto e l’avversario viene ammonito o squalificato. L’arbitro si assicura del regolare svolgimento del combattimento.

In un contesto reale, avviene l’opposto. In quanto il nostro avversario desidera sopraffarci, andrà molto sicuramente verso proprio quei punti che sono considerati proibiti in tutti gli sport di combattimento: testicoli, occhi, leve al collo, tirate di capelli eccetera. Sono tutti colpi molto pericolosi e potenzialmente debilitanti, e a cui qualcuno preparato esclusivamente in uno sport di combattimento non è assolutamente preparato.

Abbigliamento

L’abbigliamento negli sport da combattimento è stabilito da regolamento, così come le protezioni. Questo significa che il combattente sa di non doversi curare più di tanto di difendere certe parti (come i testicoli o le mani) in quanto già protette.

Inoltre l’abbigliamento da regolamento permette o vieta alcuni tipi di prese. Nel judo, ad esempio, il kimono facilita alcune prese che con abiti tradizionali risulterebbero essere molto più difficili.

In un contesto reale, l’abbigliamento e la protezione sono dettate in larga parte dal caso. Non è possibile prevedere con precisione cosa indossi l’avversario, ed è possibile che certi tipi di abbigliamento annullano alcuni tipi di attacchi. Ad esempio, un judoka potrebbe trovarsi in difficoltà con un avversario senza maglia.

Armi

Questa è forse la parte più vasta e importante di questo articolo. Ovviamente, negli sport di combattimento l’uso delle armi è regolato molto strettamente, e praticamente ogni tipo di arma è probito. Anche in contesti che usano armi, come il kendo, il tipo di arma è regolata molto strettamente. Provate a partecipare ad un torneo di kendo con una katana affilata!

In un contesto reale, purtroppo, non è possibile avere le stesse assicurazioni che si possono avere in un torneo.

Analizziamo più a fondo i tipi di armi che ci si può utilizzare o da cui ci su può difendere.

  1. Armi corporee
  2. Armi contundenti
  3. Armi da taglio
  4. Armi da fuoco
  5. Armi da lancio

Quelle che ho definito armi corporee sono tutte quelle parti del nostro corpo che non sono utilizzabili normalmente in un sport da combattimento, ma che hanno una potenza distruttiva non indifferente.

La più importante sono i denti. I nostri denti hanno forma tale da poter lacerare la carne, e risultano quindi essere un efficace strumento di attacco a distanza ravvicinata. Sono però vietati in tutti gli sport da combattimento esistenti, e a ragione. In un contesto reale però diventano non solo un utile strumento di difesa, ma anche un importante elemento da considerare nel nostro avversario.

Colpi con pugni, gomiti, ginocchia, piedi, eccetera possono essere vietati a seconda dello sport che si pratica.

Il secondo gruppo, quello delle armi contundenti, rappresenta quello delle armi che possono essere usate come estensione del corpo, sia per allargare il range di attacco, sia per aumentare la potenza di attacco. In quanto qualsiasi cosa può diventare un’arma contundente (bastoni, spranghe, ma anche sportelli dei veicoli e mobilio), sono in assoluto lo strumento più importante in un combattimento reale, in quanto permettono di ottenere rapidamente vantaggi strategici.

Le armi da taglio sono in assoluto il gruppo più pericoloso, anche più delle armi da fuoco. Il motivo è che, generalmente, se un attaccante è intenzionato ad utilizzare un coltello, egli farà di tutto per nasconderlo fino all’ultimo momento. La facilità con cui è possibile nascondere un’arma da taglio, e la pericolosità di tali strumenti, li rendono il primo segnale da notare in un attaccante. Se si vede un attaccante che occulta una o entrambe le mani, è bene essere pronti a scappare!

Le armi da fuoco, anche se molto pericolose, sono di un grado di pericolosità inferiore a quello delle armi da taglio in quanto sono più difficili da occultare, e per questo è più difficile essere colti alla sprovvista.

Con armi da lancio si intendono infine tutte quelle armi che possono essere lanciate contro l’avversario, sia come fonte di distrazione, sia come attacco vero e proprio. In quanto tutto può diventare un’arma da lancio in un contesto reale, è bene sfruttarlo a proprio vantaggio. Gli oggetti più solitamente usati come armi da lancio sono monetine, polvere, sputo, fazzoletti, e in genere quasiasi cosa uno riesca ad avere tra le mani al momento dell’attacco.

Obiettivo

In uno scontro sul ring, l’obiettivo è molto semplice: cercare di sopraffare l’avversario. Questo aspetto si manifesta con alcune regole arbitrali specifiche, come ad esempio il KO, o un sistema di punteggio (come nel judo). Quando le condizioni per la vittoria sono raggiunte, l’arbitro stabilisce la fine dell’incontro.

In uno scontro reale, il fine di uno scontro può essere molteplice, come può anche essere molteplice il risultato di esso. Questo comporta un notevole svantaggio rispetto ad un combattimento sul ring: non siamo sicuri quando l’avversario è disposto a rinunciare al combattimento. Partendo dal presupposto che vogliamo evitare lo scontro, l’obiettivo è quindi neutralizzare l’avversario.

Il modo per neutralizzare la forza combattiva di un avversario è un discorso complesso che va ben oltre il semplice combattimento e coinvolge molti aspetti psicologici. Un altro articolo affronterà più nel dettaglio l’argomento.

Fuga

L’aspetto più importante da ricordarsi, tuttavia, non è nulla di quello che si è detto sopra. In uno sport da combattimento, la fuga, ovvero rinunciare al combattimento, è segno di debolezza. In un contesto reale, tuttavia, è l’aspetto più importante da considerare nel caso ci si trovi di fronte ad uno scenario di pericolo.

Molti praticanti hanno subito gravi lesioni in quanto non volevano evitare il combattimento, per difendere il proprio orgoglio. Tuttavia, un orgoglio ferito è meno pericoloso di un corpo ferito, anche se può fare male allo stesso modo.

Non c’è vergogna nell’avere salva la vita.

Conclusioni

Questo articolo ha voluto mettere in evidenza gli aspetti che gli sport di combattimento finiscono per ignorare ma che, per un motivo o un altro, sono una evenienza realistica in uno scontro reale. E’ quindi importante integrare le conoscenze date da uno sport da combattimento con questi nuovi aspetti ed eventualmente dedicare alcune ore del proprio allenamento per affrontare proprio questi aspetti, soprattutto se l’autodifesa.

Nei prossimi articoli andremo ad approfondire ogni punto, cercando in particolare di capire come ottenere sempre il vantaggio in ogni situazione e aumentando quindi le proprie chance di uscire incolume da uno scontro.

lunedì 11 maggio 2015

Regole e drill nell'autodifesa: L'importanza dell'istinto



Introduzione

Ho notato che esistono due tipi di arti marziali.
Il primo tipo sono quelle arti marziali che si concentrano molto su principi e regole generiche per creare una filosofia del combattimento specifica per quell’arte. Esempi di questo tipo di arti marziali sono il wing chun, l’aikido, il judo, il tai chi.
E’ un tipo di insegnamento molto diffuso nelle arti marziali orientali, e perpetrato da film di arti marziali degli anni ‘70 e ‘80. In essi è infatti facile vedere un allievo istruito da un maestro severo ma saggio che snocciola frasi di saggezza mentre lo fa volare da una parte all’altra dell’area di combattimento.
Il secondo tipo sono invece quelle che si concentrano sulle tecniche. Questo tipo di arte marziale è più facilmente osservabile nell’occidente. In particolare nei sistemi militari, in cui i soldati sono costretti a ripetere i “drill”, ovvero esecitazioni focalizzate, per ore e ore finché non diventano seconda natura. Ma anche negli sport di combattimento si pone una grande importanza sulle tecniche (jab, cross, montante, gancio, senza parlare dei calci). Esempi di questo tipo di “stile” si trovano ad esempio nel krav maga e in sport di combattimento come la boxe e il brazilian ju jitsu.
Entrambi i sistemi hanno i loro vantaggi e svantaggi, e per questo motivo è difficile trovare discipline che si concentrano totalmente sull’unao sull’altra. Anche arti basate molto saldamente su dei principi di stile hanno delle tecniche molto specifiche: nell’aikido, as esempio, si inizia imparando le leve di base, accennando solo a dei principi che nei primi stadi di sviluppo potrebbero essere più una distrazione che altro.
Allo stesso modo, arti basate principalmente sulle tecniche utilizzano principi generici per spiegare alcuni concetti.
E’ importante notare che quindi entrambi gli aspetti sono importanti. Ma perché? Qual è l’importanza di entrambi, e in quali contesti?

Generalizzare significa imparare rapidamente

Se vi dicessi che in generale è importante mantenere le distanze in un combattimento, sono sicuro che non avreste bisogni di farvi spiegare due volte che cosa si intende. Anche se magari può sfuggire il motivo, di sicuro la implementazione risulta essere immediata.
In questo caso, la regola di mantenere le distanze è una generalizzazione. E’ molto importante in quanto permette di spiegare velocemente alcuni principi che nello specifico richiederebbero molto lavoro per essere capiti.
Supponiamo ad esempio che volessi spiegarvi come fare per mantenere le distanze facendovi fare un esercizio. Un attaccante cerca di avvicinarsi a voi. Per ogni passo che fa l’avversario, voi fate un passo della stessa distanza nella stessa direzione, in modo da allontanarvi da lui.
Un esercizio molto semplice. Lo studente eseguirebbe questi passi con estrema semplicità, magari sentendosi sicuro di poter mantenere le distanze.
Ora supponiamo di mettere un muro dietro il nostro allievo. Ora il drill che ha praticato finora risulta inutile, in quanto prima o poi finirebbe per sbattere contro il muro. E’ quindi necessario effettuare un altro drill. Stavolta l’allievo impara come eseguire un passo di lato in maniera da mantenere le distanze e allo stesso tempo evitare di rimanere spalle al muro.
L’allievo continua a praticare l’esercizio, sentendosi sicuro di poter evitare qualsiasi ostacolo e riuscire a mantere le distanze con facilità.
Ora supponiamo di mettere un’altro attaccante. In queste condizioni, le due drill già spiegate risultano essere inutili in quanto ci si trova in un ambiente in cui è facile essere fiancheggiati. In queste condizioni le variabili cambiano così tanto (in quanto entrano in gioco le scelte che entrambi gli avversari possono fare) che è impossibile creare drill specifiche per questa condizione. All’effettivo, diventa sparring.
Ci si rende quindi conto dell’importanza di generalizzare. In questo modo, siamo in grado di imparare un concetto complesso (“mantieni le distanze”) senza però necessariamente dover praticare delle drill specifiche. Anche se le drill possono dare un vantaggio tattico in situazioni specifiche, è molto facile che le condizioni si alterino al punto da non essere più utilizzabili. E’ quindi necessario attingere alle proprie capacità di improvvisazione per uscire dal problema, e le generalizzazioni possono essere un principio molto utile da questo punto di vista, dando linee guida piuttosto che frammenti specifici.
Questo significa che è possibile intuire, anche se non lo si è mai praticato, come crearsi un vantaggio in situazioni nuove, cosa che una drill specifica non è in grado di fornire.

Drill significa raffinare

Tuttavia, una eccessiva generalizzazione nella pratica può portare a notevoli problemi.
Supponiamo ad esempio di trovarci in una situazione di autodifesa reale. Camminando per strada, un uomo ci attacca. Colti alla sprovvista, è l’istinto a prendere il sopravvento. In quanto non abbiamo integrato il concetto di mantenere le distanze a livello muscolare, la nostra capacità di mantenere le distanze si perde completamente.
Non è raro per gente che subisce attacchi improvvisi dichiarare successivamente che si sono comportati in modo completamente differente da come si sarebbero comportati se avessero avuto il controllo di sè. In un combattimento reale, l’adrenalina prende il sopravvento sulla logica e ci basiamo completamente su reazioni istintuali.
E’ quindi ovvio notare che non è possibile utilizzare una generalizzazione, in un contesto del genere.
Le drill mostrano quindi la loro importanza, da questo punto di vista. Al contrario delle generalizzazioni, che richiedono la nostra attenzione per essere eseguite, le drill avvengono in maniera completamente autonoma. Sono azioni che abbiamo ripetuto centinaia di volte e sono diventate parte della nostra memoria muscolare, e si attivano naturalmente, senza il nostro intervento logico.
L’importanza di tale meccanismo a livello militare è immediata. In contesti di guerra, in cui in ogni momento si può essere sotto attacco, è fondamentale allenare il nostro corpo a reagire senza che la mente cosciente metta i bastoni tra le ruote. Quindi ripetere drill fino al punto di diventare parte del soldato è una fase fondamentale.
E’ quindi ovvio che in contesti sportivi, il concetto di drill è molto più importante che delle generalizzazioni in quanto ci sono condizioni specifiche che risultano essere uguali ogni volta (dimensioni dell’arena, numero di avversari), ed è quindi facile allenarsi in modo da creare memoria muscolare in modo da rispondere a questi stimoli in maniera efficiente e dinamica.
Chiunque utilizzi generalizzazioni per combattere risulterà essere svantaggiato rispetto a qualcuno allenato in specifici tipi di combattimento se le condizioni portano a dover utilizzare quel tipo di skill. Ad esempio, un dilettante di boxe perderà sicuramente contro un campione di boxe, se si incontrano sul ring.
Tuttavia, è importante notare che fuori dal ring, tale vittoria non è poi così scontata. Magari il dilettante è migliore nel grappling, cosa in cui il campione non ha magari mai avuto pratica. Questo significa che se si finisse a contatto, l’uso dei pugni diventerebbe inutile e il dilettante risulterebbe avere, forse paradossalmente, un vantaggio tattico.
Questo mostra sicuramente uno dei grandi problemi degli sport di combattimento in un ambito di autodifesa: essendo allenate a funzionare bene in determinati contesti, trascurano però altri, lasciando quindi dei “buchi” che possono essere dannosi.
Tali buchi nella nostra memoria muscolare non possono essere evitati: considerando il tempo che è necessario per creare anche solo un movimento istintuale, è semplicemente impossibile a meno di non dedicare tutta la propria vita a questo lavoro.

Passare dal generale allo specifico

E’ quindi evidente l’importanza sia delle regole generali, sia di avere drill specifiche per creare reazioni istintive. Una pratica completa deve essere in grado di combinare entrambe in maniera sapiente.
E’ ovvio che il combattente ideale ha la reazione istintiva perfetta in ogni condizione. Ma un simile fenomeno di autodifesa è infattibile in un contesto di autodifesa, perché la quantità di variabili che possono cambiare in un contesto reale sono davvero impressionanti.
E’ quindi importante comunque mantenere dei principi generali da seguire, e integrarli piano piano intallandoli istintivamente con delle drill specifiche. Ma come fare?
Abbiamo quindi una regola generale. Vogliamo trasformarla in qualche modo in un drill specifico da impiegare per creare reazioni istintuali. Ecco una lista di processi da seguire per raggiungere questo risultato.

Mente conscia e inconscia

La mente cosciente è una mente lenta ma molto precisa. Utilizzando logica e tattica, siamo in grado di sfruttare a nostro vantaggio molto del nostro ambiente. Tuttavia i suoi tempi di reazione sono molto lenti (dai pochi secondi a qualche minuto), e per questo motivo è fondamentale fare in modo di effettuare qualsiasi tipo di riflessione logica in maniera preventiva.
Inoltre, la mente cosciente, per poter fare uso di determinate regole, deve essere in grado di ricordarle nel momento del bisogno. E’ infatti facile che ci si dimentichi di questi concetti fondamentali quando se ne ha più bisogno.
La mente inconscia, al contrario, è una mente che agisce in maniera poco flessibile. Una volta installata una reazione istintiva, il nostro inconscio risponderà allo stesso modo agli stimoli esterni. I tempi sono molto ridotti (frazioni di secondo), ma non sono adattabili alla situazione, e richiedono diversi giorni per essere installate o cambiate con successo.
La memoria istintiva è un tipo di memoria che non si perde mai. Una volta installata una reazione, è molto difficile rimuoverla, a meno di non dedicarcisi costantemente. E’ il motivo per cui non si può dimenticare come si va in bicicletta. Una volta imparata, rimane con te a vita.
Si osserva che quindi le generalizzazioni si indirizzano nello specifico alla mente conscia, i drill invece alla mente inconscia.
Per poter quindi passare da una regola generica a una drill specifica, è importante rimuovere informazioni. E’ necessario lavorare nel contesto più specifico possibile, assicurandosi di semplificare al massimo la quantità di informazioni che lo studente deve assimilare. E’ un pò come dividere il grande boccone della regola generale in tanti piccoli bocconcini facilmente digeribili.
La drill non deve contenere alcun tipo di riflessione logica, se non le più semplici. Deve essere basata su azioni fisiche specifiche e non generalizzazioni (ad esempio, “muovi il piede in questo punto e in questa posizione” piuttosto che “vai qui”).
Per installare con successo una reazione istintiva, sono necessari alcuni elementi: ripetizione, e sonno. Il dormire, la ricerca dimostra, è un aspetto fondamentale nello sviluppare la nostra memoria muscolare.
E’ qunidi necessario ripetere la stessa drill nel corso di vari giorni per assicurarsi una installazione sufficientemente solida.
Una volta che la drill può essere eseguita senza l’attenzione cosciente dello studente, è necessario ripetere la drill quotidianamente per altri 60 giorni. Una volta finiti i 60 giorni, la drill è perfettamente installata nel corpo dello studente, e non sarà mai dimenticata.

Conclusioni

In questo articolo si è analizzata l’importanza di entrambe le generalizzazioni e le drill specifiche, e si è dato un mezzo con cui trasformare tali generalizzazioni in drill specifiche in modo da poterle installare come reazioni istintive.
Negli articoli successivi si andrà ad affrontare le lacune fondamentali degli sport di combattimento, come colmarle e come sfruttarle a nostro vantaggio in un contesto reale.